ITA | ENG
BLOG AND EMILI / Oltre la SEO: l'AI journey come nuovo paradigma di navigazione

Oltre la SEO: l'AI journey come nuovo paradigma di navigazione

Opera di Andy Warhol “Moonwalk” per descrivere l'articolo

La diffusione degli strumenti AI (come ChatGPT, Gemini, Claude, Perplexity e altri) sta rivoluzionando il modo in cui le persone cercano informazioni e prendono decisioni online. Di conseguenza, anche la SEO, tradizionalmente focalizzata sul posizionamento nei risultati di ricerca "classici", si trova di fronte a un cambiamento di paradigma.


Dal customer journey al nuovo AI journey

Un tempo il percorso del consumatore online rispettava un rituale quasi liturgico: partiva da una ricerca su Google, seguiva con visite a vari siti, slalom fra le pubblicità, lettura di recensioni, confronti, ecc. Oggi questo schema sta evolvendo in un "AI journey": gli utenti si affidano sempre più ad assistenti e chatbot AI per ottenere consigli, idee e raccomandazioni: cosa comprare, dove andare, quale soluzione scegliere.

Dalla liturgia digitale alla fede nell’intelligenza artificiale.

Uno studio recente ha rilevato che il 35% dei consumatori che hanno utilizzato assistenti AI lo ha fatto sostituendo i motori di ricerca per ottenere risposte a una domanda. In altre parole, oltre un terzo degli utenti attivi sui chatbot preferisce interrogare un'AI piuttosto che fare una ricerca su Google (link).

Immagina il tuo cliente che negozia direttamente con ChatGPT invece di sfogliare il catalogo prodotti sul tuo sito. Oggi può sembrare distopico, domani sarà realtà: il funnel si evolverà in un dialogo continuo e diretto, parte di una conversazione infinita con un oracolo digitale.

Per le aziende questo significa che il punto d'ingresso principale al proprio brand potrebbe non essere più l'homepage, il motore di ricerca o la piattaforma social, ma una risposta vocale o testuale data da un modello di AI.

Benvenuti nell'AI journey.


Brand awareness nei modelli di AI

Se l'AI si conferma come nuovo gatekeeper delle informazioni, la presenza – o meglio, la corretta rappresentazione – del brand diventa cruciale. I chatbot non sono più semplici strumenti di Q&A; stanno assumendo il ruolo di "influencer" dei consumatori. Quando un utente chiede "qual è il miglior [prodotto X] per [esigenza Y]?", l'AI attinge alle proprie conoscenze (dataset di training ed eventuali integrazioni dalla search) per fornire una risposta che, per svariate ragioni, potrebbe non includere il tuo brand.

Ed è qui che la cosa si fa interessante: se il tuo brand è presente in quelle conoscenze e viene descritto in modo adeguato, la tua immagine ne risulterà valorizzata.
Diventa quindi necessario tradurre i concetti di PR e branding nei "pesi" dei modelli linguistici.

Esiste tuttavia un rischio sottile: il travisamento del posizionamento.
L’AI non è infallibile, potrebbe presentare il tuo brand di pasta come “gourmet di alta cucina”, o, viceversa, classificare il tuo atelier di moda premium come “abbigliamento casual di tutti i giorni”.
Questo fenomeno è particolarmente insidioso, risulta difficile da controllare e rischia di creare un disallineamento tra la percezione del consumatore e la tua offerta.

Inoltre, i test dimostrano che gli strumenti di ricerca di ChatGPT sono vulnerabili a manipolazioni - generando risultati fuorvianti o addirittura dannosi quando le pagine web contengono testo nascosto o manipolativo (link). Ciò solleva preoccupazioni sulla sicurezza delle informazioni, poiché i brand potrebbero subire danni reputazionali non solo a causa di interpretazioni involontariamente errate dell'AI, ma anche a causa di tentativi deliberati di sabotaggio da parte di competitor spregiudicati.

La buona notizia è che, col tempo, l’affidabilità dell’AI tenderà a migliorare; va ricordato che i “pesi” nelle reti neurali non sono casuali, ma in genere riflettono l’autorevolezza e la rilevanza del brand nel dataset di training. Più positiva e contestuale è la menzione del brand in fonti autorevoli, maggiori sono le probabilità di essere raccomandati. Questo crea un parallelo interessante con la SEO tradizionale, dove l’autorevolezza si traduce in backlink di qualità – oggi si manifesta in rappresentazioni favorevoli nei corpus di addestramento degli LLM.

Facciamo una prova.
Cosa risponderebbe ChatGPT se gli chiedessi quale sia la migliore digital agency di Reggio Emilia?

Chatbot AND EMILI


Oggi è andata bene. 

La risposta può variare in base a mille fattori, fra l'altro dipende dal modello e dal fatto che questo si avvalga della ricerca online. Nel primo caso, il vostro brand dovrà essere presente nella memoria del LLM, nei pesi della rete neurale. Nel secondo caso, la maggior parte degli LLM si avvale dei motori di ricerca, quindi torniamo all'origine.

Esercizio: prova a porre domande abilitando/disabilitando la web search.

Chatbot search

 

Come essere presenti negli LLM

La strategia vincente è presidiare le fonti online da cui le AI attingono: creare contenuti autorevoli sul proprio sito, curarne il markup nei dati strutturati, partecipare a Wikipedia, evitare di essere troppo ermetici con le schede prodotto, ottenere citazioni e recensioni positive. Tutto ciò aumenta le probabilità che un chatbot vi riconosca come brand affidabile.

In pratica, la brand awareness oggi richiede un doppio sforzo: convincere della propria rilevanza sia le persone che gli algoritmi delle reti neurali

La raccomandazione, apparentemente imparziale, dell’AI per i vostri prodotti può influenzare direttamente la scelta d'acquisto. Esistono numerose ricerche che confermano l’abilità degli LLM di influenzare e persuadere le persone (e ciò dovrebbe indurci a fare delle riflessioni più ampie).

 

Google AIO e i riassunti AI: il traffico cala... o si trasforma?

Anche i motori di ricerca si stanno dotando di risposte AI generative. Google, ad esempio, ha introdotto "Google AI Overview" (in Italia arriverà in ritardo, come al solito), riassunti generati dall'AI che compaiono in cima ai risultati di ricerca per determinate query, sintetizzando informazioni da vari siti e mostrando subito la risposta all'utente.

Esempio: Google AI Overview in US

Google AIO

La presenza di un AI Overview provoca un drastico crollo del CTR organico. Uno studio recente rivela che, quando appare un riassunto AI, solo lo 0,64% delle ricerche si traduce in click sui risultati organici, dimezzando il tasso di interazione rispetto al periodo pre-AIO (link).

Di fatto, l'AI generativa di Google "divora" i clic che avrebbero potuto condurre ai siti web, anche se meno traffico casuale potrebbe significare più interazioni mirate e di qualità (long tail keyword).

Questo solleva questioni sul valore del traffico nell'era dell'AI. A mio avviso, assisteremo a una biforcazione: 

  • Declino del traffico informativo: Il traffico puramente informativo diminuirà drasticamente, poiché gli utenti otterranno risposte senza visitare i siti.
  • Crescita del traffico ad alto intento: Aumenterà il traffico ad alto intento, composto da utenti che hanno già superato la fase informativa grazie all'AI e sono pronti all'azione.

È un po’ come avere meno clienti che entrano nel negozio, ma più motivati all’acquisto.
Questo scenario richiede un ripensamento della misurazione del ROI della SEO, dove il volume di traffico potrebbe diventare meno rilevante rispetto a metriche di qualità come il tasso di conversione e il valore per visita.

In sostanza, l'AI generativa sta ridistribuendo le carte: è utile essere presenti sia nei riassunti AI dei motori di ricerca che nelle risposte dei chatbot.

Presto qualsiasi strategia SEO dovrà includere la "presenza nei risultati AI" e "la visibilità sugli LLM" come nuovi KPI (significativo il caso di Semrush, link).​​​​​​​​​​​​​​​​

 

Siti AI-friendly: accessibilità e ottimizzazione oltre la SEO tradizionale

Con l'AI che diventa intermediario tra utente e brand, è fondamentale rendere i siti web facilmente accessibili e comprensibili per i modelli di intelligenza artificiale. Questo va oltre la tradizionale SEO on-page: piacere a Googlebot non basta più.

La buona notizia è che un sito fatto bene, usabile e accessibile, in genere lo è sia per gli umani che per i crawler, siano essi "tradizionali" o "AI".

Sintetico e non esaustivo elenco delle buone pratiche:

  • Siti tecnicamente ottimizzati: Velocità, compatibilità mobile, assenza di link rotti, struttura chiara, sitemap aggiornata e meta-tag utili. Se un'AI trova difficoltà a estrarre informazioni dal vostro sito, probabilmente passerà oltre. Al contrario, un sito ben strutturato aiuta i crawler a scansionare ed interpretare efficientemente i contenuti, migliorando la vostra visibilità nelle risposte AI.
  • Contenuti di qualità e "conversazionali": Le AI ragionano in termini di linguaggio naturale: capiscono il significato delle frasi più che le singole keyword. Ciò comporta due cose: primo, puntare su contenuti originali e utili. Secondo, includere nei contenuti le domande e frasi chiave conversazionali che gli utenti potrebbero porre alle AI. Ad esempio, invece di puntare solo a "scarpe running" conviene coprire query più lunghe tipo "scarpe da running per lunghe distanze sotto la pioggia" – sono frasi più colloquiali che gli utenti effettivamente usano con i chatbot.
  • Dati strutturati e chiarezza semantica: Un altro aspetto è facilitare la comprensione semantica da parte delle AI. I modelli di AI usano tecniche come Entity Recognition per identificare entità (marchi, luoghi, prodotti) nel testo. Menzionate in modo coerente e preciso i nomi del brand, dei prodotti e delle categorie, usando anche markup strutturati. Aiutate l'AI a collegare i puntini. Coerenza e struttura nei dati migliorano il recupero delle informazioni.

 

L'AI come intermediario universale: un cambio di paradigma

Proiettandosi nel futuro, è già possibile intravedere la destinazione del cambiamento: l'AI diventa mediatore principale tra persone e macchine. Se oggi un utente interagisce con un sito web o un'app, domani darà semplicemente un comando all'AI che eseguirà in sua vece: una sorta di transfert della propria volontà attraverso un avatar.

Jakob Nielsen parla dell'AI come "il primo nuovo paradigma di interfaccia degli ultimi 60 anni": se tradizionalmente l'utente impartiva istruzioni tramite comandi o click, ora comunica semplicemente il risultato che vuole ottenere, lasciando all'intelligenza artificiale il compito di determinare autonomamente come raggiungerlo.

Immaginiamo un utente nel 2035: "Hey Bot, prenota un volo per Istanbul il prossimo weekend, trova un hotel centrale con parcheggio e mandami gli orari di apertura della Moschea Blu". L'AI consulterà siti di voli, userà API di booking, interagirà con interfacce e restituirà il risultato finale. L'utente non avrà mai visitato un sito o compilato un form – ha delegato tutto all'assistente. Siamo di fronte a un cambio paradigmatico: dal "cliccare link" all'impartire istruzioni in linguaggio naturale.

È come se ogni utente avesse un assistente personale che esplora internet al suo posto, un proxy digitale onnipresente.

Per le aziende e i marketer, questo scenario impone un ripensamento totale. Il sito web tradizionale e l'interfaccia utente rimarranno importanti, ma saranno consultati sempre più spesso da agenti AI invece che da utenti umani in prima persona.

Con l'AI mediatore, la sfida per i brand sarà farsi comprendere dall'assistente digitale: ciò spingerà verso API aperte, formati universali e integrazioni dirette. Chi abbraccerà per primo questo paradigma diventerà fonte preferita dall'assistente, un vantaggio competitivo prezioso in un mondo dove l'AI fungerà da strato semiotico tra noi e la realtà, trasformando sia la nostra percezione che la sostanza stessa di ciò che consideriamo "reale".​​​​​​​​​​​​​​​​

 

Note:

  • nel testo uso i termini assistenti AI e chatbot in modo intercambiabile;
  • la mia visione in genere  tende a sopravvalutare il  determinismo tecnologico;
  • non ho affrontato il tema etico perché richiederebbe approfondimento a sé.