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Case History Aziendali: 2 modi per scriverle

Case history aziendali: 2 modi per scriverle

Le case history aziendali (o case study) sono probabilmente tra gli strumenti più utilizzati dai marketer, principalmente in ambito B2B.

Case history aziendali: 2 modi per scriverle  —  Cover Photo by Helloquence on Unsplash

Di recente mi sono trovato a discutere con il mio collega Stefano, esperto in user experience, collega riguardo il modo migliore per scrivere una case history da pubblicare su un sito web. Con la consapevolezza che nel digital marketing difficilmente esistono verità assolute, voglio condividere con voi un paio di spunti che sono emersi da questa conversazione. In particolare, vi darò due chiavi di lettura, due approcci per la scrittura di una case history da impiegare in base ai vostri obiettivi di marketing.

Ma andiamo con ordine.


Indice dell’articolo


 

Cos’è una case history?

Limitandoci all’ambito marketing, possiamo dire che una case history è un contenuto che fornisce informazioni dettagliate su una determinata attività, dai motivi che l’hanno richiesta alle modalità di esecuzione della stessa fino alle conseguenze che ne sono derivate.

L’obiettivo principale è generalmente uno e semplice: dimostrare agli interlocutori (soprattutto prospect) le proprie competenze documentando i successi ottenuti con altri clienti.

Come si scrive una case history di successo?

come scrivere una case history di successo

Elementi fondamentali di una case history

Ci sono diversi modi per realizzare un contenuto di questo tipo ma gli elementi distintivi e a mio avviso necessari sono solitamente 5:

  • Cliente / Chi
  • Bisogno / Perché
  • Attività / Come
  • Risultati / Cosa
  • (Endorsement)

Questi 5 elementi rivestono una grande importanza perché raccontano una storia di successo in quasi tutti i suoi aspetti rilevanti. Non è un caso, infatti, che in molti siti web la struttura delle pagine dedicate ai casi di successo preveda sempre un’area dedicata a ognuno dei punti indicati.

E non è un caso neanche il fatto che questo elenco ricordi molto la regola delle 5 W del giornalismo (Who, What, When, Where, Why) e anzi ne contenga tre punti su cinque. Questo perché, in fin dei conti, si tratta sempre di rispondere alle domande di sicuro interesse per il lettore. Tra i nostri elementi fondamentali non ho menzionato il “Quando” e il “Dove” ma è chiaro che per determinati settori anche questi assumono una certa rilevanza.

Ora che abbiamo visto gli aspetti generali andiamo al cuore della questione e vediamo quali sono, a mio avviso, due possibili strade da percorre per la produzione di case history aziendali e quando sceglierle.


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1. Brand Reputation Case History

brad reputation case history

Brand reputation case history — Photo by Jonathan Francisca on Unsplash

Una Brand Reputation Case History mette in evidenza il cliente, focalizzandosi quindi sul primo punto indicato nel paragrafo precedente: chi. Più il brand del cliente è importante o conosciuto (anche solo nel proprio settore) più forza ha il contenuto.

In questo tipo di case history il tono di voce è solitamente enfatico, l’approccio redazionale contempla spesso titoli d’effetto e una narrazione di tipo emozionale. Il logo del cliente assume una grande rilevanza, così come un endorsement (la frase/resoconto da parte del referente) da pubblicare a corredo del contenuto.

Gli aspetti legati alla “reputation” diventano quindi fondamentali perché il valore del brand cliente si trasferisce in parte verso il fornitore, scatenando considerazione del tipo “se hanno lavorato per loro allora devono essere davvero bravi”.

Questo tipo di approccio ha indubbi benefici dal punto di vista “commerciale” ma credo abbia senso usarlo solo quando il cliente è davvero importante.

Inoltre (e qui entra in gioco la mia deformazione professionale), va considerato che questo tipo di approccio difficilmente porta risultati dal punto di vista del traffico organico da motori di ricerca. Anzi, è molto probabile (e accade quasi sempre) che la pagina web che ospita il contenuto si posizioni per keyword irrilevanti, legate si al brand cliente ma completamente inutili per il fornitore. Questo perché risulta difficile operare un’ottimizzazione efficace, senza “corrodere” la forza comunicativa.

Per esempio

In questa case history presente sul sito di TeamSystem si nota molto chiaramente che il focus è sul cliente, in questo caso Leroy Merlin. La pagina include ben quattro endorsement, la foto con il logo del cliente è molto prominente, non ci sono immagini o elementi grafici che rimandino ad Alyante, il prodotto oggetto del caso di studio. I dettagli tecnici in realtà ci sono ma non emergono a colpo d’occhio. La URL della pagina contiene solo ed esclusivamente il nome del prestigioso cliente.

2. Case History Informativa

case history informativa

Case history informativa — Photo by Arie Wubben on Unsplash

Il secondo approccio l’ho battezzato Case History Informativa perché pone al centro l’informazione, il contenuti, spostando in secondo piano il cliente.

Un caso di studio di questo tipo evidenza il bisogno, l’attività svolta o i risultati ottenuti. Il tono di voce solitamente è più tecnico, titoli e paragrafi sono focalizzati sulle peculiarità del lavoro svolto. Il valore, quindi, non passa più dalla notorietà del brand cliente ma dalla possibilità che il lettore si identifichi nel contesto presentato.

Realizzare case history di questo tipo può essere vantaggioso quando la propria azienda ha clienti poco noti, quando si voglia dare risalto a prodotti o servizi e quando si intende sfruttare il contenuto a fini SEO. Procedendo in questo modo diventa molto più naturale ottimizzare una pagina per keyword informative legate a specifiche criticità, servizi oppure obiettivi.

Per esempio

MTC, centro di ricerca e sviluppo indipendente per il settore manifatturiero, presenta un approccio alle case history di tipo informativo. Per esempio, in questo caso di studio il taglio è molto tecnico, il focus è sulle esigenze e sugli obiettivi, il cliente (The Regent Engineering Co.LTD) è decisamente in secondo piano.

Un altro caso analogo è questo articolo dell’azienda inglese Channel, operante nel settore Voip e Unified Communication. Il contenuto è tutto orientato ai prodotti, alle installazioni effettuate. Anche il titolo della pagina è estremamente informativo e neanche menziona il nome del cliente e allo stesso modo è strutturata la URL.

Soluzione ibrida

case study ibrido

Photo by Alex on Unsplash

 

Come in tutte le cose, spesso “la virtù sta nel mezzo”. In certi contesti la soluzione più efficace potrebbe essere quella di attingere a entrambi questi due approcci, realizzando case history bilanciate ed efficaci sia sul piano della reputazione sia su quello dell’informazione.

Case history di aziende di successo

Ecco qualche esempio da aziende di successo che, a mio avviso, hanno saputo coniugare al meglio le due strade nelle loro case history.

E tu ne hai qualcuna da segnalare? Scrivila nei commenti!


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